ô tranwaj lo chiamavamo.
Li tolsero negli anni sessanta per agevolare il traffico delle auto essendo le strade di Genova strette e tortuose.
Molti ricordi sono legati al tranwaj: le auto parcheggiate a centro strada, le cadute dei ciclisti, la gente appesa ai predellini,
i dispetti dei ragazzini che lo rincorrevano, per staccare l’asta e farlo fermare, per sentire le imprecazioni dei passeggeri.
Era un sabato pomeriggio dopo le le cinque; si perchè allora si lavorava anche il sabato tutto il giorno ed io, uscito dall’officina dove facevo il garzonetto, mi recavo al capolinea del tranvaj con altri tre amici poco più grandi di me.
Avevo quattordici anni appena compiuti, la scuola interrotta per motivi famigliari, e una grande gioia di vivere.
MI facevano fare le pulizie: tutte le mattine scopare tutta l’officina, accendere la grossa stufa piazzata tra il vecchio tornio
e il banco da lavoro del vecchio Gatta. Aveva ottanta anni e ancora lavorava.
Il tram era già quasi pieno ed io ed i miei tre amici siamo saliti cercando di farci spazio tra la gente che a quell’ora, come no,i tornava a casa dopo una settimana di lavoro.Avevo la mano destra occupata: portavo a casa gli indumenti da lavoro,
l’asciugamani , la gavetta dove mia madre metteva il mio pasto del mezzogiorno. Era tutto dentro alla cartella nera che non usavo più per la scuola e che ora serviva egregiamente per altro. Era una cartella di finta pelle con la maniglia, un finta chiusura al centro, con una finta chiave e due fibbie ai lati. Era gonfia la cartella, con tutta quella roba dentro.
Ho porto il tesserino settimanale al bigliettario nel momento stesso che il tram è partito, perchè lo fori con quella magnifica pinza che faceva forellini di tutte le fogge: stelle, lune, quadrati, tondi……………avessi potutoi averne avuta una!!!
I miei amici erano spariti in mezzo alla gente; come tutti cercavano di arrivare vicini al manovratore per assaporare dal davanti l’ebbrezza della velocità.
Io, impedito nei movimenti dalla mia cartella, ero rimasto indietro, da solo, bloccato, imposibilitato a muovermi e, piccolo come ero, non arrivavo neppure al corrimano per tenermi, era troppo in alto per me. Neppure le maniglie dei sedili mi riusciva di toccare. Stavo in piedi sostenuto dalle persone che mi stavano schiacciando.
Improvvisamente qualcuno mi afferrò la mano destra, costringendomi non so come a sollevarla sopra le teste della altre persone e urlando a squarciagola:
Non mi ero reso conto che ero si immobilizzato, ma il mio braccio era rimasto in mezzo alle chiappe enormi di una anziana signora che mi stava vicino. Sarà stata cento chili e aveva una voce stridula.
Lo ha ripetuto diverse volte quel MI TOCCA! tanto che da lì a poco tutti i passeggeri del tram ridendo scandivano O ME TOCCA, O ME TOCCA , O ME TOCCA.
Ero piccolino di statura eppure avrei voluto essere un moscerino. Dei quasi cinque litri di sangue che avevo nelle vene in quel momento almeno quettro erano nelle orecchie e sulle guance.
Impiegava quaranta minuti il tram a portami a casa: quel pomeriggio fù un’eternità.
Giunti finalmente a destinazione, con un sospiro di sollievo, mi precipitai giù da quella prigione, mi diressi verso casa accompagnato da un coro :< E O TOCCA, E O TOCCA, E O TOCCA> erano i miei amici che affettuosamente mi salutavano.
Quanti ricordi evoca il”tramwaj”.
alfred 07/ 02/ 2010
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